Presentazione di Margherita Ferrandino giornalista-inviato Rai Tg3

Quando Lelio Luttazzi e sua moglie Rossana si sono trasferiti da Ceri, borgo medioevale, a Roma, in Trastevere proprio nell’appartamento accanto al mio, ho pensato che quella casa aveva, probabilmente, il felice destino di ospitare inquilini speciali visto che Fernanda Pivano ci aveva abitato per quasi trent’anni. Non potevo credere che cosi’ vicino a me ci fosse quel Lelio Luttazzi che molti anni prima, ogni settimana, mi faceva ritornare da scuola di corsa per ascoltare la Hit Parade del venerdi’ e per scommettere a tavola con mio fratello sulla canzone in vetta alla classifica dei dischi che poi, regolarmente, tutta la famiglia finiva per imparare a memoria.

Erano i tempi in cui c’erano più radio che televisioni ma “Studio Uno” riuscivano a vederlo tutti e il Maestro Luttazzi era sempre li’ con Mina, le Gemelle Kessler e, di volta in volta, incredibili ospiti: Totò, Alberto Sordi, Vittorio De Sica, Marcello Mastroianni, Federico Fellini… un palcoscenico quello del varietà di allora, che ancora oggi, è considerato il meglio della televisione italiana e che spesso rivedo, con nostalgia e ammirazione, scorrendo le preziose teche della Rai. “Doppia Coppia”, “Teatro 10”, “Ieri e Oggi” “Il paroliere questo sconosciuto”, “Giardino d’Inverno”.

Lelio Luttazzi era sempre protagonista.

In seguito, tra un incontro occasionale, una cena e poi molte altre serate, ho imparato a conoscere Lelio più da vicino, spesso anche insieme ai suoi inseparabili amici di sempre. E confesso che la prima volta che ho visto Luttazzi al pianoforte, ho provato una grande emozione, non soltanto per come suona ma per l’eleganza con cui lo fa, una classe che il tempo non può cancellare.

Ascoltare i racconti di Lelio, poi, è un gran divertimento, perché l’ironia e il distacco, con cui probabilmente ha attraversato la vita, fanno di lui una persona davvero speciale capace di dirti che, ancora oggi, non sa come mai gli hanno dato cosi’ tanta importanza perché, secondo lui, tutte le cose che ha fatto non era nemmeno in grado di farle. Naturalmente se fosse vero non sarebbe mai diventato il gran personaggio che è. Antonioni non gli avrebbe mai dato un ruolo ne “L’Avventura” né Dino Risi lo avrebbe scritturato per “L’Ombrellone” e incaricato di comporne la colonna sonora, né tanto meno avrebbe scritto commedie musicali per Macario, Dapporto e Tognazzi.

Quando Lelio viene a cena si porta il vino da casa semplicemente perché preferisce bere il suo. Se il vino è bianco, è prosecco come il nome della località vicino a Trieste dove ha studiato con una maestra, l’unica, che era anche sua madre: Sidonia Semani, donna in gamba vedova a soli ventotto anni di Mario Luttazzi. Un sergente conosciuto a Trieste ma nato a Palombara Sabina in provincia di Roma, dove da ragazzo faceva il barbiere, appassionato di musica e di Petrolini.

Lelio ha imparato a suonare il piano con il parroco di Prosecco e ha raccontato che la prima canzone l’ha scritta sul Barassi, un testo di diritto privato della facoltà di giurisprudenza dove si era iscritto a Trieste. La canzone si intitolava “Il Giovanotto Matto” e Lelio l’aveva scritta per il cantante Ernesto Bonino. Quando seppe, anni dopo, che alla Siae quel testo gli fruttò trecentocinquantamila lire, decise che la musica era il suo mestiere e nel 1948 si trasferi’ da Trieste a Milano.

L’inizio di un’avventura che nelle chiacchiere con Lelio ritorna qua e là con la sua consueta noncuranza ma che nella realtà si traduce in centinaia di canzoni di successo, colonne sonore, programmi televisivi e radiofonici, teatro, concerti e tanti dischi incisi con la sua voce. A me è capitata la fortuna di poter godere della vicinanza di questo fantastico maestro, sempre più schivo e inconsapevole di quanto può insegnare attraverso i suoi ricordi, la leggerezza nel vivere la vita, l’ironia di non prendersi mai sul serio, il tratto infantile dell’ingenuità mai sopito, l’umiltà di non sentirsi mai tra i grandi, vezzo spontaneo e sincero di chi grande lo è davvero.

Grazie Lelio.